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Final Fantasy e il ritorno alle origini: la nuova richiesta degli azionisti Square Enix

Durante l’ultima assemblea degli azionisti di Square Enix, uno dei momenti più commentati non è stato legato ai bilanci economici o alle vendite dell’anno fiscale appena concluso, bensì a una domanda, formulata con una certa insistenza, da parte di un giornalista appartenente al mondo dei media finanziari. La questione era chiara, diretta, e in apparenza semplice: perché la serie Final Fantasy non ritorna alla sua formula originale, quella degli RPG a turni, con comandi ben scanditi e dinamiche che nel tempo hanno definito un intero genere? La domanda è stata formulata pubblicamente e non si è persa nei verbali della riunione: ha generato un confronto reale e ha fatto emergere un nodo strategico che l’azienda, evidentemente, conosce da tempo.

Il riferimento al titolo Clair Obscur: Expedition 33 non è apparso casuale. Lanciato nel 2025, il gioco si è affermato con forza tra appassionati e critica, ottenendo una visibilità inaspettata anche per il grande pubblico. Il motivo? Una qualità tecnica e artistica dichiarata e riconosciuta, ma soprattutto una scelta strutturale precisa: il ritorno al sistema di combattimento a turni, quello stesso approccio che, nel corso degli anni Novanta, ha trasformato Final Fantasy in un punto di riferimento globale. La popolarità raggiunta da Expedition 33 non è passata inosservata nemmeno agli investitori, che ne hanno parlato come di un esempio utile, concreto, che potrebbe indicare una via sostenibile per il futuro.

La risposta dell’azienda giapponese non si è fatta attendere. Con una certa compostezza, la dirigenza ha ricordato che Expedition 33 è ben conosciuto all’interno dei team di sviluppo e che lo stile degli RPG a comandi è considerato parte integrante dell’identità stessa di Square Enix. Più che un orientamento del passato, viene riconosciuto come un patrimonio ancora attivo, da valorizzare in alcune produzioni e da ripensare in altre. Una dichiarazione che non equivale a una promessa, ma che di certo colloca questo dibattito nel cuore delle strategie editoriali dei prossimi anni.

Chi conosce la storia di Final Fantasy sa che il passaggio dagli scontri a turni agli action-RPG in tempo reale è stato graduale ma netto. Dalla struttura di Final Fantasy X al sistema misto di Final Fantasy XII, fino al sistema completamente dinamico degli episodi XV e XVI, si è assistito a una progressiva trasformazione del ritmo, del peso delle scelte e della relazione tra giocatore e interfaccia. Una trasformazione non dettata solo da ragioni artistiche, ma anche da logiche di mercato, da esigenze di accessibilità e da un desiderio di competere con modelli dominanti, in particolare quelli dei giochi occidentali ad alto budget.

Nel dibattito emerso durante l’assemblea, però, si è sottolineato anche un altro punto, forse ancora più strategico: quello della pianificazione delle uscite. Il giornalista ha citato esplicitamente il nuovo piano industriale a medio termine annunciato da Square Enix, esprimendo sostegno alla linea generale, che mira a una transizione «dalla quantità alla qualità», ma sollevando anche dubbi su alcuni rischi già evidenti nel passato. Da un lato, il mandato dell’ex presidente Yoichi Wada, durante il quale l’attenzione alla qualità portò a una rarefazione eccessiva delle uscite principali. Dall’altro, l’epoca più recente di Yosuke Matsuda, segnata invece da una moltiplicazione di progetti che, pur numerosi, venivano spesso percepiti come titoli minori o poco rifiniti.

Questa oscillazione tra due poli, quello dell’ambizione e quello della frequenza, ha avuto effetti evidenti anche sulla percezione del marchio. Per i fan storici, Final Fantasy è sinonimo di eccellenza narrativa, musica memorabile, ambientazioni stratificate e un gameplay che si radica nel tempo. Tuttavia, in un mercato che chiede continuità, aggiornamenti regolari, e interazioni costanti, la distanza tra un capitolo principale e l’altro può diventare un problema. Non solo per gli utenti, ma anche per la sostenibilità economica di produzioni che richiedono cicli lunghissimi e risorse crescenti.

Il reporter ha quindi suggerito una proposta concreta, che non sembra tanto un’utopia quanto un’ipotesi strutturata: alternare le due grandi serie di punta della casa, Final Fantasy e Dragon Quest, in modo da garantire un flusso più stabile, un equilibrio che possa rassicurare investitori e al tempo stesso costruire un dialogo costante con il pubblico. Non è questione di abbandonare la qualità, ma di ridisegnare la qualità all’interno di un sistema che non implode sotto il peso delle sue stesse aspettative.

L’intervento degli azionisti ha anche permesso di affrontare, seppur in modo indiretto, la questione del ruolo del mercato mobile e delle produzioni a budget medio. La risposta di Square Enix ha confermato l’intenzione di mantenere un portafoglio vario, in cui le grandi produzioni coesistano con titoli meno complessi ma ugualmente rilevanti. Nel corso dei prossimi tre anni – orizzonte temporale previsto dal piano in vigore – l’obiettivo dichiarato è quello di offrire «giochi realmente interessanti», evitando accumuli e dispersioni. Una promessa che, per essere credibile, dovrà misurarsi con la realtà di un settore in rapido mutamento.

Dal punto di vista del marketing, la rivalutazione del modello a turni potrebbe rappresentare un’occasione. Il ritorno alla formula degli RPG a comandi non significa rinunciare all’innovazione, ma piuttosto riscoprire una grammatica ludica che oggi può essere reinterpretata con strumenti nuovi. La popolarità di giochi come Octopath Traveler, Bravely Default o lo stesso Expedition 33 dimostra che esiste un pubblico disposto a riconoscere valore a una struttura meno frenetica, più tattica, fondata sul ritmo della riflessione piuttosto che sulla rapidità dei riflessi.

Molti giocatori – soprattutto quelli della generazione che ha conosciuto Final Fantasy VII al momento dell’uscita – percepiscono in queste meccaniche una forma di familiarità, che non si traduce necessariamente in nostalgia, ma in un riconoscimento del tempo speso con attenzione. Le scelte non devono essere rapide per essere efficaci. Possono essere ragionate, calcolate, lette come parte di una progressione strategica.

Tra i corridoi digitali di forum e social network, intanto, si moltiplicano i dibattiti. Alcuni utenti si chiedono se Square Enix riuscirà davvero a bilanciare queste aspettative, se l’annuncio implicito di voler valorizzare i turn-based corrisponderà a una trasformazione concreta. Altri esprimono un cauto ottimismo, ricordando che le parole spese in assemblea, anche se vincolate al contesto finanziario, rappresentano comunque un segnale, una traccia, un possibile punto di partenza.

A distanza di oltre trentacinque anni dal primo Final Fantasy, il ruolo del giocatore non è più lo stesso. Non lo è nemmeno il contesto produttivo. Ma ciò che resta, a detta di molti, è una volontà di partecipare attivamente a un mondo che si costruisce turno dopo turno, in cui ogni azione ha un peso, ogni scelta ha una conseguenza, ogni personaggio si ritaglia uno spazio con i propri limiti, le proprie abilità, il proprio ritmo. E in questo ritorno possibile, tra una mossa e l’altra, forse si intravede ancora quel senso originario che ha reso Final Fantasy un riferimento globale.

Gli azionisti lo hanno detto con chiarezza: c’è un pubblico che attende. Square Enix ha risposto con attenzione. Ora si tratta di trasformare l’attenzione in sviluppo, e lo sviluppo in gioco.

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