L’universo cinematografico Marvel, in questi ultimi anni, ha vissuto una fase complicata, segnata da un calo di interesse del pubblico e da numerosi interrogativi interni sulla direzione artistica da intraprendere. Tra i titoli che hanno fatto più discutere spicca senza dubbio The Marvels, il film diretto da Nia DaCosta e diventato rapidamente sinonimo di produzione difficile, di aspettative deluse e di un risultato economico ben al di sotto delle previsioni. È stato infatti il peggior incasso di sempre per il Marvel Cinematic Universe, con poco più di 206 milioni di dollari complessivi e perdite per Disney che si aggirano attorno ai 200 milioni.
Al centro della discussione c’è proprio la regista Nia DaCosta, che in più occasioni ha raccontato con estrema chiarezza i limiti del processo produttivo, arrivando a indicare il modo stesso in cui gli studios affrontano la scrittura e lo sviluppo come una delle cause principali del fallimento del film.
Un copione mai davvero completo
In una recente intervista concessa a The Hollywood Reporter, parlando del suo lavoro sul sequel di 28 Years Later intitolato Bone Temple, DaCosta ha spiegato che la differenza più grande rispetto ad altre esperienze sta proprio nella presenza di una sceneggiatura solida, completa e coerente prima di arrivare sul set. «Uno dei problemi che ho avuto sia con Candyman che con The Marvels è stata l’assenza di una sceneggiatura davvero solida, e questo inevitabilmente crea caos durante tutto il processo», ha detto la regista.
La sua critica si inserisce in una dinamica nota ormai da tempo, il cosiddetto “metodo Marvel”, che prevede di non avere una sceneggiatura definitiva, ma di costruire molto sul momento, seguendo input del produttore Kevin Feige e modificando le scene fino a fasi molto avanzate. Lo stesso Feige ha ammesso che anche per progetti futuri enormi come Avengers: Doomsday non esiste ancora un copione finale.
Un film che non era davvero suo
Nia DaCosta, già in passato, aveva dichiarato che The Marvels non le apparteneva, definendolo «un film di Kevin Feige» e spiegando che quando si lavora con i Marvel Studios si vive costantemente in quella realtà. In altre parole, il margine d’azione per un regista diventa limitato, e spesso le decisioni creative più importanti sono prese dall’alto, in funzione di un mosaico narrativo più ampio che deve rispettare logiche seriali e commerciali.
Pur mostrando gratitudine per l’opportunità di lavorare in un contesto di tale portata, DaCosta ha anche ammesso che l’esperienza l’ha spinta a desiderare di tornare a concentrarsi su film originali e più personali. Una riflessione che appare significativa se si considera il peso che un regista dovrebbe avere in un progetto da oltre 250 milioni di dollari, dove invece la sua presenza è stata percepita come marginale.
L’abbandono durante la post-produzione
Le voci sul difficile rapporto con i Marvel Studios si sono rafforzate quando è stato rivelato che la regista aveva lasciato il film in piena fase di post-produzione per trasferirsi a Londra, dove stava preparando Hedda, un dramma con Tessa Thompson. La notizia aveva colpito molti addetti ai lavori, perché abbandonare un progetto di quelle dimensioni a pochi mesi dall’uscita appare insolito e sintomatico di tensioni interne.
«Se stai dirigendo un film da 250 milioni di dollari, è strano che il regista se ne vada a pochi mesi dalla fine», aveva commentato una fonte vicina alla produzione in un’intervista a Variety.
Un insuccesso che pesa sull’MCU
I numeri parlano chiaro: The Marvels è stato il peggior risultato nella storia del MCU. E nonostante il cast di rilievo, con Brie Larson, Iman Vellani e Teyonah Parris, il film non è riuscito a conquistare né il pubblico né la critica, risultando frammentato e privo di quella coerenza narrativa che avrebbe potuto sostenerlo. Le osservazioni di DaCosta sulla debolezza della sceneggiatura sembrano quindi trovare riscontro nell’esito finale, un prodotto costruito più come tassello obbligato che come opera cinematografica compiuta.
La voce dei protagonisti
La stessa Iman Vellani, interprete di Kamala Khan, aveva parlato in più occasioni della confusione creativa attorno al progetto, mentre Brie Larson aveva mantenuto un profilo più basso, limitandosi a dichiarazioni di rito. La sensazione diffusa è che gli attori stessi fossero pienamente consapevoli delle difficoltà strutturali del film, ma senza la possibilità di incidere davvero su di esse.
Il futuro di Nia DaCosta
Alla luce di queste esperienze, Nia DaCosta sembra intenzionata a proseguire lungo la strada dei film originali, preferendo progetti più piccoli ma capaci di offrire libertà artistica. Lavorare su Bone Temple le ha permesso di tornare a respirare un’atmosfera diversa, fatta di confronto diretto e di decisioni prese sul set senza continui rimaneggiamenti.
Il suo percorso diventa quindi emblematico per comprendere la crisi creativa della Marvel: da una parte budget enormi e una macchina industriale imponente, dall’altra una rigidità produttiva che rischia di soffocare il contributo autoriale di chi dovrebbe dare forma a quei film.
Marvel Studios e il rischio serializzazione
Il caso di The Marvels apre anche un’altra questione: quanto la formula Marvel sia oggi in grado di reggere. Se all’inizio la forza del MCU era proprio la costruzione di un universo condiviso, con incastri narrativi e continui rimandi, oggi quella stessa struttura sembra diventata un vincolo. Ogni film deve rispettare una tabella, preparare il terreno a futuri crossover, sacrificare l’identità in favore di un disegno più grande che però fatica a catturare lo stesso entusiasmo di un tempo.
Molti critici hanno evidenziato come il film si limiti a replicare schemi già visti, senza una direzione chiara, e che la stessa DaCosta abbia finito per diventare più una coordinatrice che una regista in senso pieno.
Una lezione per l’industria
La vicenda di Nia DaCosta e The Marvels rappresenta un esempio di come le grandi produzioni hollywoodiane possano entrare in conflitto con le esigenze artistiche. Da un lato, la sicurezza economica di far parte di un franchise globale; dall’altro, la consapevolezza che il risultato finale rischia di non avere un’identità precisa.
Per i Marvel Studios, la scommessa sarà quella di ritrovare un equilibrio tra esigenze produttive e voce autoriale, evitando che film da centinaia di milioni si riducano a prodotti senz’anima. Per DaCosta, invece, resta la certezza di aver trasformato quell’esperienza in uno stimolo a rafforzare il proprio percorso personale.